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domenica 4 aprile 2010

Memorie di vecchi tempi: - vol 2° / 3 - L'arrivo a Napoli

L'impatto con la nuova città, in verità, non fu dei più felici. Si era ai primi giorni di luglio, ed il caldo imperversava ormai in pieno. Dalla fresca e tranquilla Bologna ci trovammo immersi in una specie di Babilonia, fatta di rumori assordanti, nelle strade colme di passanti gesticolanti e vivaci, di sole caldissimo, di ragazzetti vocianti che sbucavano da tutte le parti, uscendo dalle strettissime vie laterali, i famosi vicoli di Napoli, i quali, fra parentesi, ci colpirono vivamente con tutti quei panni colorati che sventolavano appesi da una parte all'altra dei vecchi palazzi fitti fitti di balconcini. Carri pieni di mattoni o di altra pesante merce percorrevano a sbalzelloni il selciato ineguale del largo corso Garibaldi, trainati da grossi, robusti cavalli, altra novità per noi; non ci sfuggì però la bellezza del cielo azzurrissimo, e la delizia del venticello fresco e profumato che a tratti spirava dal mare mitigando l'arsura (noi si andava verso la marina, dove avremmo abitato) e che ci accarezzava piacevolmente il viso.

Tante impressioni contrastanti si contendevano il nostro animo, ma la felicità che irradiava il volto di nostra madre ci compensava di tutto, e subito fummo felici della sua felicità.

Per la prima volta avremmo abitato in una caserma; ciò era dovuto all'obbligo fatto da mio padre della sua presenza continua sul posto di lavoro, dove erano i magazzini viveri militari, dei quali era consegnatario; il suo lavoro consisteva quindi nel consegnare, presenziare e regolare la distribuzione degli stessi ai vari reggimenti e caserme site in Napoli e nella provincia, lavoro faticoso e di grande responsabilità; per esempio, poichè queste consegne, a causa di orari prestabiliti, si dovevano effettuare dalle tre e mezzo alle quattro del mattino, mio padre era costretto ad alzarsi a quell'ora ogni mattina, con il personale addetto, e presenziare e sorvegliare che tutto fosse eseguito alla perfezione!

Giunse finalmente la "carrozzella", tipico mezzo napoletano di trasporto, aperto e tranquillo, nella piazza di porta Capuana, svoltò a destra, e là si fermò; c'era un largo spazio vuoto, davanti al porto, dove si ergeva, è la parola giusta, una specie di grigio castelo merlato, non molto alto, due o tre piani credo e ciononostante piuttorto imponente, con la sua brava torre antica da un lato, ed un grande portone scuro al centro; a destra ed a sinistra di queste, due garitte con due sentinelle, debitamente armate di fucile; una gran quantità di soldati entrava e usciva frettolosamente da questo portone, ed ognuno di loro doveva ogni volta salutare la sentinella, portando la mano alla visiera del berretto.

Questo fu dunque il luogo dove avremmo abitato durante tutto il nostro soggiorno napoletano; in esso erano approntati, oltre al nostro, ancora due o tre appartamenti, per altri ufficiali ed impiegati dei vari servizi, con le loro famiglie, con alcune delle quali stringemmo una grande amicizia.
Abitare in una specie di castello credo sia stato sempre il sogno delle bimbe romantiche, e questo ad un tratto si verificava per noi! Anche se ancora un pò frastornate dal viaggio, questo fatto ci piacque, per quanto la realtà fosse piuttosto diversa dal sogno: niente lussi, niente giardini fioriti, una semplicità davvero spartana dappertutto; c'era soltanto quel via vai di persone affaccendate, militari e civili che animavano l'androne lunghissimo a perdita d'occhio; tuttavia, almeno apparentemente, un castello era pure, e l'appartamento che ci era stato assegnato era piuttosto bello, grande, e con un terrazzo enorme, che prendeva tutto il piano superiore dell'edificio (la nostra casa si trovava al terzo piano) una vastità tale da poterci andare sopra in bicicletta, circondato da alte mura merlate, e che andava da via Marina fino alla piazza della Porta Capuana, l'edificio essendo grandissimo; esso comprendeva infatti, oltre ai magazzini viveri, anche il complesso per la panificazione, con le sue macchine impastatrici, che lavoravano anche di notte, con un ritmo cadenzato, sordo (che mi dava tanta sicurezza, paurosa come ero di eventuali ladri!) ed i grandi forni a legna dove si cuoceva il pane per i soldati (spesso il profumo del pane appena sfornato si spandeva nell'aria ed era delizioso); poi ancora il magazzino vestiario, dove c'erano le divise nuove per le reclute, e naturalmente tutti gli uffici per i vari sevizi.

Tornando al grande terrazzo, certo scorazzare a piacere, con i nostri piccoli amici, su tanto spazio libero, fu almeno per Marcella e me, una grande felicità; per Teresa era diverso, ormai quasi una signorinetta, non prendeva parte ai nostri giuochi ancora un pò infantili, e, come sempre si estraniava da essi; a lei piaceva leggere, più che altro, forse, per esplicare il suo buon gusto ed il suo istinto tutto femminile di dedicarsi ad un lavoro creativo e gentile.

Comunque, ripensandoci, non era poi cosa tanto comune abitare in una caserma, dove la vita dei militari è regolata da vari squilli di tromba, che ben presto imparammo a riconoscere e, perchè no, anche ad amare; c'erano trombettieri bravi, ce la mettevano tutta a suonare con vivacità e precisione, e la cosa ci divertiva sempre; certe volte stonavano miseramente ed allora ridevamo come matte. I segnali più simpatici: il richiamo della sveglia del mattino, molto vivace e brillante, poi quello dell'ora del rancio, cioè il pranzo dei soldati, la classica "la zuppa s'è cotta venite a mangiar"; infine, oltre agli altri richiami, piuttosto numerosi, il più patetico e dolce era certamente il "silenzio", eseguito alle nove di sera, quando tutti i soldati erano rientrati in caserma e bisognava dormire: dolce, disteso e lento, a me piaceva moltissimo.

Tutto questo movimentò subito la nostra vita, in principio, poi l'abitudine attenuò il divertimento, pure ci fu sempre caro ascoltare quelle note musicali che scandivano il tempo, le ore; ci ricordavano una vita che si svolgeva accando a noi, del tutto diversa dalla nostra eppure interessante, piena di animazione e di significato, e ci impediva di sentirci mai veramente soli, era proprio come avere sempre una gradevole compagnia!

In quanto all'epoca di costruzione del nostro "castello" francamente non saprei dire nulla di preciso; in verità credo che più che un vero castello questo edificio sia stato, in lontani tempi, piuttosto una fortezza militare a difesa della costa, contro gli assalitori, per la sua posizione che fronteggiava il mare; indubbiamente era stato restaurato e ricostruito più volte, conservando però, con la sua corona di merli che lo sovrastava, un aspetto inusuale e romantico...Inoltre la torre ad esso attaccata, grande, di colore oscuro e quasi minaccioso, di forma rotonda, con piccole finestre e tante feritoie quasi nascoste, in primavera, da verdi foglie e fiorellini, era certamente molto antica, forse del '500, chissà; pare che sotto il dominio dei Borboni fosse adibita a prigione di stato, ed in essa furono rinchiusi, di volta in volta, i patrioti rivoluzionari dei vari movimenti antiborbonici, fra i quali Eleonora Pimentel Fonseca, che, poveretta, vi risiedette vari mesi prima di essere giustiziata senza pietà.

Del tutto inoffensiva, ormai, la vecchia torre ancora resisteva nel tempo; nelle sue feritoie a centinaia avevano fatto il loro nido moltissimi piccioni, che svolazzavano spesso da una parte all'altra dell'edificio, e, quando a mezzogiorno tuonava nel cielo il colpo del cannone della fortezza di S.Elmo, là, sulla collina del Vomero, e le sirene delle grandi navi attraccate al porto suonavano tutte insieme per segnalare il mezzogiorno, tutta la tribù dei colombi volava in alto nel cielo, ed a stormi faceva numerosi giri intorno alla loro torre, quasi per salutarla e manifestare la loro gioia di vivere!


lunedì 22 febbraio 2010

Memorie di vecchi tempi: Volume secondo /1-Mia madre

Volume secondo
Napoli 1926 - 1930


Prima di iniziare il capitolo sulla nostra vita a Napoli, voglio completare il ritratto dei miei cari, così come erano in quell'epoca , cioè nel 1926. Delle mie sorelle ho già parlato a lungo, prima, ancora ne parlerò in seguito, ma per quello che riguarda mia madre e mio padre ne ho soltanto accennato occasionalmente nelle mie note trascorse.

E questo per una mia certa naturale ritrosia, come se descriverli comportasse, da parte mia, una certa mancanza di rispetto per la loro condizione di genitori.
Ma superato questo sentimento, per la grande tenerezza che ho sempre provato per essi, allora ed ancora oggi, credo di poterlo fare, e con tutta sincerità ed amore.

Mia madre aveva una bella figura, alta e forte, ed era grande in tutto: dalla bella voce sonora e potente alle bellissime mani, degne di essere ritratte da qualche celebre pittore: dalle nivee braccia, che nelle serate di gala all'opera, come era in uso in quegli anni anche per le signore "per bene", erano completamente scoperte, alle belle spalle che uscivano dal velluto e dai merletti dell'abito da sera, e che strappavano a noi gridolini di gioia e di piacevole sorpresa, abituate come eravamo a vederle sempre accuratamente coperte, anche d'estate.
Aveva tanti bei capelli castano scuro, lunghissimi, lucenti e così folti che quando si pettinava,Marcella ed io, ci divertivamo a nasconderci dietro di essi. I suoi linemaneti non erano belli nel senso classico della parola, ma espressivi ed interessanti; gli occhi erano nerissimi, vivi e brillanti ed assumevano, nei dolci momenti di tenerezza, uno sguardo affettuosissimo; il naso, un pò grande, era stretto alla base e del tutto banale, ma la bocca piena, grande ed affettuosa, sapeva sorridere in modo affascinante.
Il suo carattere era forte, anch'esso, ed energico, con inusitate tenerezze che commuovevano e conquistavano tutti; anche se severa e rigorosa nell'esigere che ognuno adempisse al proprio dovere, sapeva colmare questa severità imperiosa con una comprensione amorosa, quando necessario, con l'interessamento affettuoso e continuo che aveva per noi tutti, con la sua integrità morale che risplendeva nelle sue parole, nel suo modo di vivere, nel suo comportamento quotidiano.
Per questo era amata da tutti; i suoi parenti, le sue amiche, ognuno che ne avesse bisogno, ricorreva a lei, per consigli, per aiuto morale, per goderne l'amicizia e l'affetto, che largamente e generosamente dispensava; fedele fino in fondo a sè stessa ed a coloro che amava, incapace di rancori meschini o di invidie.

Mio padre e noi ne subivamo il fascino in pieno e ci riusciva molto difficile resistere alla sua volontà, sempre guidata, d'altronde, da altruismo e da amore; nello stesso tempo sentivamo di costituire per lei tutto il suo mondo, il suo universo, e capivamo che avrebbe ustata tutta la sua viva intelligenza e tutta la sua forza d'animo per difenderci da qualsiasi pericolo o dolore.

Le sue parole erano sempre sagge ed improntate a vivo senso di giustizia; perfino con gli animali era grande e benevola: "Noi siamo il dio degli animali", soleva ripetere spesso, e personalemtne si interessava che le sue bestiole, fossero gatti o galline, avessere il loro cibo e fossero curate e rispettate.
La stessa benevolenza dimostrava per l'attendente e per la domestica, beninteso quando facevano il loro dovere con attenzione e sollecitudine; altrimenti il suo sdegno prorompeva ed allora... guai al malcapitato!

E nonostante che il governo della casa e della famiglia prendesse buona parte del suo tempo, mia madre si interessava volentieri di tutto: leggeva regolarmente i giornali, per esempio, per cui seguiva con attenzione i movimenti politici del tempo, ed era edotta dei vari avvenimenti e personaggi dell'epoca, dei quali parlava spesso con mio padre, per avere da lui maggiori spiegazioni e pareri; ella amava la lettura, in genere, e leggeva spesso romanzi del tempo, che erano quelli delle signore romantiche dell'ottocento, e cioè Carolina Invernizio, della Serao, sua scrittrice preferita, oppure Ferdinando Verdinois, scrittori discutibili quanto si vuole ma che rappresentavano il meglio della letteratura amena dell'epoca, senza parlare dei "Romanzi Quattrini", che si compravano a dispense dal giornalaio e che mamma conservò gelosamente per molti anni, in ricordo forse della sua giovinezza. Scriveva poi moltissimo alle sue amiche lontane, di Lecce, di Brindisi e di Mesagne, con vero talento, si vede, poichè la sua corrispondenza era molto apprezzata dalla medesime. Mi capitò a volte di leggere qualche cartolina postale oppure illustrata, di auguri o di saluti, e mi colpiva sempre la grazia e lo spirito di amicizia che le animavano!

Poi c'era la musica, che l'entusiasmava sempre, dall'opera lirica ai semplici pezzi per piano suonati da noi, dal "Pastore svizzero" al "Canto del cigno", di Saint.Saens, suonato con maestria da babbo sul suo flauto e via, via, alle romanze da salotto cantate dalle sue amiche ( ricordo un "Libro santo" ed un " Se tu m'amassi", fra le più conosciute del tempo) ai brani sinfonici trasmessi dalla radio, quando, nel 1927 incominciò a diffondersi questo nuovissimo, strabiliante mezzo musicale!


Se si pensa che dalla sua famiglia, anche se fra le prime di Mesagne, aveva ricevuto una istruzione piuttosto limitata, poichè nessuna delle figliole femmine, ed erano ben sette, era andata alla scuola comunale, tranne che nei primissimi anni; invece un giovane maestro, il cosiddetto precettore, andava in casa tutti i giorni per istruirle in altre varie nozioni e perfezionarle nella scrittura e nel far bene di  conto, e perfino in qualche lezione di pianoforte, delle quali però mamma non approfittò affatto!


I ragazzi invece, Federico e Felice, erano interni in uno dei primi collegi di Lecce; a questo punto bisogna riconoscere che l'intelligenza, l'acume e la buona volontà di mia madre furono veramente amirevoli; delle sue sorelle soltanto una era simile a lei, la zia Matilde, anch'essa appassionata di letteratura e di musica, tanto da mettere anche lei in collegio, uno dei migliori di Napoli, la sua unica figliola, mia cugina Mercedes, dove, oltre a ricevere una notevole cultura (leggeva e parlava correntemente il francese) potè perfezionarsi così bene nello studio del pianoforte da diplomarsi molto brillantemente con il professore e pianista celebre Florestano Rossomandi, che riuscì a farle dare una impronta raffinatissima alle sue esecuzioni: in Debussy, in particolare, era veramente incantevole e tutti noi ne eravamo affascinati.


Le altre sorelle, Nina, la più grande di loro, Claudia, Margherita (Anna e Amalia non superarono la fanciullezza, con grande dolore del nonno) conservarono la media istruzione che avevano ricevuto, perfezionandosi di più nel ricamo, sempre difficili e raffinati, nei lavori complicatissimi all'uncinetto ed in tutte le mansioni di donne e future padrone di casa, allora considerate importantissime.


I due fratelli, invece, si laurearono ambedue in giurisprudenza; di carattere completamente diverso, ma intelligentissimi entrambi, vissero una vita diametralmente opposta: federico a Mesagne, tranquillo, filosofo, amante della campagna e del quieto vivere, amministrò le sue proprietà con molta comodità e con una nonchalance del gran signore terriero; liberale, dalla parola facile ed arguta, si circondò di amici fedeli e, a tempo perso, esercitò anche la professione di avvocato.
Felice, al contrario, di temperamento vivacissimo, irrequieto, volitivo, appena laureato si iscrisse al partito politico che, secondo lui, avrebbe sollevato l'Italia dall'inerzia e dal disordine, e, con la sua pronta intelligenza, fece una rapidissima carriera politica, sempre apprezzato per la sua probità e il suo entusiasmo. Non tralasciò per questo di amministrare brillantemente le sue tenute agricole, ereditate dal padre come agli altri figli, e dedicò coscienziosamente, appena gli era possibile, il suo tempo libero alla sua famiglia che, nel frattempo, si era creata.


Questa era dunque la famiglia di origine di mamma, alla quale fu sempre attaccatissima, ed a sua volta da essa molto amata e rispettata, per il suo animo generoso, il suo buon senso, la sua viva intelligenza, per cui spesso si rivolgevano a lei per dirimere problemi o varie difficoltà da risolvere; dovendo  compendiare il una parola la mia impressione su mia madre, credo che adopererei la parola latina "domina", perchè erra era veramente la "domina" della famiglia tutta e della casa, esempio vivente di affettuosità, di senso del dovere, di fedeltà, di amore.


A questo punto di queste mie note su mia madre mi accorgo di aver mancato di ricordare tanti e tanti particolari caratteristici di lei, particolari che ricordo con grande tenerezza, e che dovrebbero occupare essi stessi una parte ben maggiore delle mie memorie, e che aggiungerebbero umanità e verità a questo ritratto.


Per esempio: il suo modo di esprimersi; in famiglia lo faceva quasi sempre nel suo beneamato dialetto mesagnese; in società, o, comunque con estranei, invece, nel più perfetto italiano, con una verve ed un così arguto argomentare che affascinava e divertiva nello stesso tempo.
La sua voce ampia, e piena delle più varie inflessioni risuonava simpaticamente nei salotti delle sue amiche, attirando sempre simpatia ed attenzione; e questo era certo fra le più valide ragioni per cui la presenza era tanto desiderata, e dovunque era accolta con grande piacere e soddisfazione.

Anche noi, a casa, godevamo tantissimo di questo suo, diciamo così, talento oratorio; la conversazione fra noi non languiva mai, e la sera, specialmente dopo cena, usavamo raccoglierci intorno a lei, pregendola di raccontarci qualche episodio della sua vita giovanile, anche riguardo alla sua numerosissima famiglia, dove sempre vari avvenimenti si susseguivano giornalmente, lieti o tristi, ma sempre vivaci; passavano davanti ai nostri occhi squarci di quella antica vita sociale e familiare dell'ottocento (mia madre era nata nel 1879) con le sue rigide regole, la severità paterna inflessibile, che i numerosi figlioli e nipoti cercavano in tutti i modi di aggirare, dando luogo a vari piccanti ed esilaranti fatterelli: Poi gli episodi comici della vita paesana, dei quali si facevano eco le varie persone che frequentavano la casa, le vecchie amiche della nonna, oppure i "famigli", così detti, servitù, rispettosissimi contadini, la vecchia Rosina, che mamma ricordava da sempre, alla quale era ancora affezionatissima, il cocchiere Angelo, fedele ad oltranza sia al nonno che a tutta la famiglia, l'anziana signora Scalcione, puntualissima, ogni pomeriggio nella sua visita alla cara "Donna Minerva", che era la nonna, e tanti, tanti altri personaggi familiari.

Restano nella mia memoria e ritornano spesso, con lietezza soffusa di nostalgia, i vocaboli più usati da lei nel suo linguaggio giornaliero, così espressivo ed originale: "vabbandi" (va via), "la jatta" (la gatta), "li jaddine" (le galline),"l'attani" (il padre), ecc...
oppure vecchi proverbi paesani: "Si gennaro no scennaresce, febbraro male pensa", o "li guai della pignata le sepe la cucchiara", ecc...




mercoledì 27 gennaio 2010

Memorie di vecchi tempi: 19-L'albergo Cappello

Quando giunse la grande notizia del nostro trasferimento per Napoli, notizia attesa e desiderata fino allo spasimo dai miei genitori, la gioia di mamma, specialmente, fu indescrivibile; ella vedeva terminare finalmente quella specie di esilio che era stato per lei il soggiorno a Bologna, ed avvicinarsi il momento nel quale sarebbe ritornata nel suo bel Sud.


Infatti, sebbene fosse di origine pugliese, aveva pure vissuto a Napoli per qualche anno, appena sposata, e là era nata Teresa, la sua prediletta primogenita, e poi io; questo era bastato perchè conoscesse bene la città e se ne innamorasse con tutta l'anima. Con grande entusiasmo ci descriveva la sua bellezza, il suo clima dolce, il suo bel mare azzurrissimo, via Caracciolo, il Vomero, tutte notizie che noi ascoltavamo piuttosto tiepidamente, proprio per compiacerla, come se la cosa non ci riguardasse.


Invece, anche mio padre era felicissimo, sebbene esternasse con più moderazione la sua soddisfazione, pure la sua fisionomia schietta ed espressiva rivelava la gioia del suo cuore; egli aveva a Napoli ed a Frattamaggiore, dove era nato, molti parenti ed in modo particolare le sue sorelle, quindi nostre zie, Maria Grazia, Nicoletta ed Amalia, che in verità non conoscevamo affatto, ma alle quali egli era profondamente affezionato, e, naturalmente, non vedeva l'ora, anche lui, di riabbracciarle.

A noi bambine, invece, dispiaceva abbastanza l'idea di lasciare Bologna, per me almeno era così; dopo il primo impatto mi ero bene ambientata, a scuola le compagne, la maestra di quarta, "signora caposcuola"come la chiamavamo, mi erano diventate familiari e mi sentivo da esse apprezzata; c'erano poi gli zii, zio Ottavio e zia Margherita, i cuginetti Giovanni e Roul, ed i nostri cari amici Landolfi, Laureati, la cara signorina Venturi col piccolo Gianni ed altre affettuose conoscenze.


E poi la città, con la sua signorile bellezza, la sua atmosfera fatta di calma e gentilezza, la sua gente cordiale ed aperta mi aveva completamente conquistata, ma dovetti rassegnarmi, sperando timidamente che forse anche a Napoli mi sarei trovata bene.

Intanto dovevamo finire l'anno scolastico: Teresa frequentava il primo anno dell'istituto magistrale, io la quarta elementare e Marcella la seconda classe; non potevamo  certo interrompere le lezioni con il rischio di perdere l'anno. Scadeva anche il contratto capestro dell'ineffabile signor conte  Sassòli Tomba, nostro padrone di casa, per cui o dovevamo rinnovarlo per un altro anno (pagamento anticipato) oppure dovevamo andarcene.

Il problema fu risolto imballando tutti i nostri mobili ed ogni altra cosa, compreso il nostro caro piccolo pianoforte viennese, depositandoli in un magazzino, mentre babbo avrebbe iniziato il suo lavoro a Napoli, dove premevano che prendesse servizio,e, lasciando libera la casa, trascorrere in albergo  i restanti due mesi, fino alla nostra partenza per Napoli.


Come temporanea residenza ci fu indicato un antico e caratteristico albergo, che, pur non essendo lussuoso, era però molto confortevole. Si chiamava "Albergo Cappello", in via dell'Orologio, se ricordo bene. C'era anche annesso un buon ristorante, ma noi non vi andammo mai, preferendo prendere i pasti in camera, una camera grande come un salone, arredata con mobili un po' vecchiotti dall'aria familiare e simpatica; due o tre finestre davano sulla strada e la rendevano molto luminosa, e davanti ad una di queste finestre c'era un bel tavolo antico, sul quale mangiavamo, e, dopo la scuola facevamo i nostri compiti.


Furono due mesi incantevoli: il gran freddo ormai era lontano, la primavera trionfava ovunque; il fatto originale e nuovo di vivere in albergo, con tanto di cameriere e camerieri ci rendeva allegre ed euforiche. Avevamo poi fatto amicizia con le figliuole del proprietario dell'albergo, affettuose e carine, e questo ci permetteva di scorazzare un pò dappertutto, dalla stireria candida e luminosa al grande terrazzo dell'ultimo piano, che dava direttamente sui tetti, cosa che ci incantò, perchè non avevamo mai visto i tetti da così vicino, bastava scavalcare la ringhiera di ferro del parapetto per poter passeggiare sulle tegole rosse, come facevano i gatti del vicinato, ma che noi, naturalmente ci guardavamo bene dal fare.


La compagnia delle due nuove amiche era simpaticissima; più grandi di età, penso abbiano avuto dai sedici ai diciassette anni, amavano moltissimo chiaccherare  insieme con noi, di scuola o di altro, magari sfaccendando, oppure ammirando verso il tramonto il panorama estesissimo della città, che si offriva alla vista dal grande terrazzo, dove in genere, c'era un gran sventolio di biancheria candida dell'albergo distesa ad asciugare.


Anche a me piaceva tanto guardare quella immensa distesa di tetti sovrastati dalle varie cupole delle chiese, e dall'immancabile torre degli Asinelli svettante in mezzo a lieti voli di rondini.


Ed ora un grazioso particolare; avevano queste giovinette un bellissimo gatto soriano ed un allegro cagnolino nero, i quali erano incredibilmente amici tra di loro, ed il nostro grande divertimento era vederli giuocare insieme contanta vivacità ed anche con tanta grazia! Una volta, per mostrarci l'affetto che univa le due bestiole, una delle ragazze rinchiuse il cane in uno stanzino, e bisognava vedere con quale impegno l'amico gatto cercava, con salti acrobatici, di smuovere la maniglia della porta per liberare il cagnolino che uggiolava pietosamente! ed il bello fu che fra tutti e due riuscirono ad abbassarla, quella benedetta maniglia, almeno quel tanto che permise al prigioniero di uscire, ed allora le grandi feste che si fecero furono proprio commoventi!


Un altro buon ricordo ci lasciò l'ottima cucina bolognese, che avemmo modo di apprezzare pranzando ogni giorno alla carta della cucina dell'albergo; la piccola Marcella, la nostra sorellina minore era impazzita per i tortellini, e spesso faceva i capricci per averli, tanto che il cameriere che ci seviva il pranzo in camera, sempre lo stesso, scherzando la chiamava "la signorina tortellini"


Se si aggiunge a tutto questo il buon umore di mamma per la prossima partenza, i simpatici pomeriggi presso la cara signorina Venturi, le vacanze estive che si avvicinavano, ed anche, perchè no? infine il viaggio fino a Napoli e la nuova vita che ci aspettava, dipintaci a tinte rosee, si comprenderà come la vita non poteva apparirci più radiosa e spensierata di quanto si potesse desiderare!


Partenza


Giunse infine il giorno della partenza per la nuova destinazione: Napoli!  Chiuse ormai le scuole, noi tre tutte debitamente promosse, venne il gran giorno. Ricordo vagamente un mare di valigie, tante locomotive sbuffanti un denso fumo nero e così rumorose che ci frastornavano, un pò di angoscia interiore che non voleva lasciarmi.
Per fortuna mio padre, che non perdeva mai la calma, ci pilotò in tutta quella confusione verso il nostro treno, e ci sistemò in uno scompartimento che ci sembrò bellissimo, tutto vuoto e tutto per noi, cosa che ci rese felici e soddisfatte.


domenica 17 gennaio 2010

Memorie di vecchi tempi: -18

Voglio ora parlare un po' delle nostre insegnanti di pianoforte avute a Bologna, ben tre in due anni, che coscienziosamente continuarono a guidarci nello studio della musica, considerato, nella nostra famiglia, sempre, un fatto di primaria importanza.


La nostra prima insegnante fu la signorina Zarri, cognome assai diffuso a Bologna, non tanto giovane ma molto distinta, che era anche la maestra, in prima elementare, della mia sorellina Marcella. Suppongo che questa fu una delle ragioni per cui divenimmo sue allieve, oltre alla sua conosciuta abilità di insegnante ed alla sua serietà. Tanto che mia madre si piegò al fatto che fossimo noi a recarci a casa sua per prendere le lezioni, e non il contrario, come usava allora nelle famiglie abbienti.


La signorina Zarri aveva una fisionomia intelligente ed acuta, ma un'espressione in generale piuttosto rigida e aguzza. La rivedo ancora, nel suo grande e luminoso soggiorno, seduta magra ed impettita accanto al pianoforte, tanti capelli gonfi e un po' crespi, di uno spento biondo cenere, il volto senza sorriso. Non troppo amabile, quindi, e con i suoi modi piutttosto autoritari e puntigliosi, si alienò subito le simpatie di Teresa, che vivace ed orgogliosa come era, mal sopportava di essere trattata con una certa durezza. Fra l'altro ella non studiava volentieri il piano, mentre a scuola era una brillante allieva, e probabilmente questo non le consentiva quei progressi che la sig.na Zarri esigeva; di qui i piccoli scontri che condussero Teresa all'aperta ribellione, tanto che a un certo punto, fra singhiozzi e lacrimoni, chiese ai nostri genitori di cambiarle insegnante, oppure, anche, di smettere di studiare il piano.
Al che, pur di vederla contenta, e, credo, riconoscendo in lei una personalità ed una sensibilità molto profonda, come infatti era, i miei decisero di trovare, per lei sola, un'altra insegnante.


Così, mentre Marcella ed io continuavamo per il momento ad andare dalla Zarri, entrò nella nostra vita la seconda "signorina del pianoforte" come chiamavamo le nostre insegnanti di piano e cioè la signorina Melideo, figliuola di un colonnello che babbo aveva conosciuto in ufficio.


Ella si era diplomata da poco, ed era perciò giovanissima, graziosa ed amabile, proprio una bella ragazza, ed anche disinvolta, nella sua semplicità; prese subito a benvolere la nostra Teresa, adottando in lei un fare amichevole e comprensivo che la conquistò completamente, tanto che incominciò a studiare con molto più impegno ed a fare notevoli progressi, con grnade soddisfazione di mamma e di mio padre, ai quali non sembrava vero vederla applicarsi senza protestare a questo studio; da ciò grande simpatia di tutta la famiglia per la nuova insegnante, così brava, bella e gentile.


Comunque il destino della sig.na Zarri era segnato, e l'anno seguente anche noi piccole cambiammo insegnante, per un'altra molto più amabile signorina, la Venturi, in casa della quale ci recavamo con molto piacere, primo perchè era proprio simpatica, secondo perchè aveva un piccolo ed allegro nipotino, Gianni, con il quale, finita la lezione individuale giuocavamo molto volentieri; inoltre egli possedeva, oltre a tanti bei libri per ragazzi, la collezione intera, rilegata, di tutti i numeri del "Corriere dei piccoli", e cioè del più affascinante giornaletto per bambini del tempo, che leggevamo con entusiasmo ogni settimana, quando usciva dal giornalaio, ed era davvero molto grazioso ed interessante; quei vecchi numeri del giornalino acquistavano perciò ai nostri occhi un fascino straordinario, e quasi bisticciavamo per leggerli. Già chi non ricorda ancora di quanti allora era bambino, i simpatici personaggi di Cirillino, del sig Bonaventura con il suo milione, di Arcibaldo e Petronilla e di tante caratteristiche creature sorte dalla penna e dall'intelligenza di scrittori e umoristi famosi come Sergio Tofano, Carola Prosperi e tanti altri?


Rammento con grande chiarezza e anche nostalgia i felici pomeriggi trascorsi là, in quella casa così raccolta e familiare, un po' vecchiotta, forse, ma tanto simpatica, leggendo tranquillamente  i vecchi giornalini, o giuocando a carte con il piccolo Gianni, mentre dalle finestre aperte entrava dolcissimo il profumo delle rose e dei fiori del giardino sottostante!
E quando fummo trasferiti a Napoli, ed il piano con gli altri mobili fu imballato e rinchiuso in un magazzino, andammo addirittura a studiare da lei, la sig.na Venturi, poichè si era ai primi di maggio e la partenza non poteva avvenire prima della fine di giugno; ecco perchè il ricordo di questa nostra insegnante è uno dei più dolci e belli della mia infanzia.


Qualche altra piccola nota sulla nostra vita quotidiana bolognese: la nostra piccola giovane domestica, Dora, nome che udii allora per la prima volta e che mi piacque; fu molto apprezzata da noi, quasi quanto Cosimina, perchè era gentile e docile. Come tutte le ragazze bolognesi, sapeva tirare la sfoglia di pasta all'uovo in modo prodigioso, e la tagliava anche con rapidità vertiginosa, tanto che una volta sbagliò la mira e si fece con il coltello un grosso taglio alle dita; ricordo ancora il suo grazioso visetto coperto di lacrime, mentre si teneva la mano tutta insanguinata.
Per fortuna babbo, bravo in tutto, anche a medicare le ferite, le fece una buona disinfezione ed un'ottima fasciatura, in modo che in pochissimi giorni potè guarire perfettamente.


Andavamo anche al cinema, qualche volta, ne ricordo due in particolare, perchè vicini a casa: il "Bios", nome mai più incontrato nella mia vita, ed il "Fulgor", ambedue cinema di periferia ma tranquilli nella loro modestia. In genere ci conducevano a veder film comici o di avventure, i più adatti alla nostra età.


Ricordo, fra gli attori comici il più famoso e cioè Ridolini, alto magro, dalla mimica straordinaria; poi Max Linder, il mio preferito perchè era giovane, elegante, quasi sempre in abito da sera; poi Fat Fatty, grasso e vispo, ne combinava sempre delle belle, Buster Keaton, ai suoi esordi ma già molto conosciuto, Harold Loyd, giovanissimo, timido ed impacciato, con grandi occhiali cerchiati di scuro; ci divertivamo tutti in modo straordinario, e noi eravamo contente e felici quando potevamo andare a vedere i loro film. Alcuni titoli mi sono ancora rimasti impressi nella memoria, specialmente quelli di avventura, come " Viaggio nell'impossibile", oppure, indimenticabile, "L'uomo della foresta", con la principessa Issè, al quale, senondo me, i successivi vari Tarzan si sono ispirati; altro bel film, anche se di altro genere, fu il "Sigfrido", tratto evidentemente dalle leggende nordiche alle quali pure si ispirò Wagner nelle sue opere, e dove un drago immenso e feroce impressionava tutti i bambini.

giovedì 14 gennaio 2010

Memorie di vecchi tempi: 17 - La città

Ecco via Andrea Costa, una via dall'aria modesta ma abbastanza movimentata, regolarmente adorna ai due lati di simpatici portici, che ricordo molto bene perchè in questa strada si trovava la nostra scuola, ed ogni mattino, per due lunghissimi inverni, la percorrevamo a piedi, spesso in fretta e furia, quando eravamo in ritardo, altrimenti tranquillamente, ed osservando i suoi negozi; ed un negozietto, in particolare, attirava sempre la nostra attenzione. Si trattava di un piccolo cartolaio, che vendeva un pò di tutto e nel quale eravamo felici di entrare ogni tanto, per comprare qualche quaderno nuovo, oppure delle matite per disegnare, o, mia segreta passione, dei pennini per la penna, belli, dorati, luccicanti, che facevano poi bella mostra nel mio portapenne di legno chiaro decorato con fiorellini dipinti. Anche giuocattoli, vendeva,ed in particolare ricordo dei burattini di legno per il teatrino, molto graziosi, fra i quali, con i nostri soldini risparmiati, scieglevamo di volta in volta qualche personaggio che ancora non possedevamo: un diavoletto, una principessa, un piccolo contadino, che aggiungevamo agli altri per comporre poi le nostre piccole rappresentazioni, insieme con Gianni e Mario, i nostri inseparabili amici.


C'era pure, fra gli altri, un piccolo negozio di frutta e verdure, dove facevano bella mostra di sè delle grandi teglie nere, da forno, colme di barbabietole rosse già cotte e fragranti ed inoltre grandi cipolle dorate dal forno, e molto spesso al ritorno da scuola ne compravamo, su commissione di mamma, ed erano davvero squisite, dolcissime; compravamo anche, e ci serviva da merenda nella ricreazione, una buona porzione, per ognuna di noi, di un'ottima focaccia, che chiamavano "crescenza", condita con salame o altro, che attirava il desiderio di tutti i bambini, con il suo profumo appetitoso di vivanda appena sfornata, ed era un piccolo piacere quotidiano al quale di rado rinunziavamo.




Porta Saragozza




Di Porta Saragozza ricordo lì'ampia piazza che la circondava, luminosa e tranquilla. Ci andammo, una volta, con mio padre, per una delle nostre rare passeggiate per la città.
Era piuttosto lontana dal quartiere dove abitavamo, prendemmo perciò il tram, che, giuntovi, fece il giro della piazza, con grande sferraglia di ruote, e si fermò.


Scendemmo e subito mi colpì la bellezza della grande ed antica porta, di pietra grigia, e splendente di luce rosa per l'imminente tramonto; erano le prime ore di un freddissimo pomeriggio invernale, ma la giornata era serena e asciutta, e mi sentii proprio felice di essere lì, in quella grande e luminosa piazza, con mio padre e la mia sorella maggiore, Teresa.

Da uno dei suoi lati essa saliva conducendo ad una verde collinetta, dove ci recammo e dove si trovavano dei bei giardini pubblici con dei bambini, pochi, che giuocavano con la palla, oppure con il cerchio, gioco allora in voga ed ora completamente dimenticato. Noi ci divertimmo a guardarli, senza però prendere parte ai loro giochi, forse per timidezza oppure ci sentivamo già troppo grandi per loro; tuttavia, per me, almeno, abituata a stare molto in casa, il solo fatto di trovarmi fuori, all'aperto, nel verde dei prati costituiva una vera felicità, mi sentii serenamente appagata e contenta.
Seppi poi che quel giardino era chiamato"la montagnola" ed era molto apprezzata dai bolognesi; infatti era molto graziosa e non l'ho mai dimenticata.


Che dire del resto della città? senza rendermene conto mi ci ero davvero affezionata e l'ammiravo senza riserve.


Mi piacevano in particolare le due famose torri, che si trovavano non lontano da casa ed ebbi perciò occasione di vederle spesso; la Garisenda, più bassa ed un po' tozza come forma e tuttavia sempre imponente, con la sua fisionomia antica e, ai miei occhi, abbastanza cupa ed inquietante. La torre degli Asinelli, di poco più lontana, era invece altissima, svettante nel cielo con la sua snellezza elegante, e, a mio parer, assai più bella e simpatica.
Solo più tardi capii che quel nome si riferiva ad una antica famiglia e non... a degli asinelli veri!
Ricordo anche la grande statua di Nettuno, in piazza San Petronio, la maestosa facciata della cattedrale, il palazzo di re Enzo, scuro e vetusto, con i suoi merli medioevali, e che nelle feste solenni, alla sera, si illuminava di fiaccole accese e splendenti; di là o nelle vicinanze, si partivano le più belle strade del centro, alcune, come via Rizzoli o via Indipendenza, piene di bei negozi moderni ed eleganti, sempre affollate di signore e signorine che confluivano poi regolarmente alla pasticceria Zanarini; altre, invece, pur essendo centrali, avevano un carattere molto più raccolto e tranquillo: sotto gli alti portici antichi e maestosi c'erano pochi negozi, assai belli e raffinati e vi regnava un'atmosfera fatta di severità e di antica grazia proprio affascinanti, e queste strade mi piacevano tantissimo, più delle altre e si chiamavano via Farini, via Santo Stefano ecc...

domenica 3 gennaio 2010

Memorie di vecchi tempi: 16 -In villeggiatura

Durante il nostro soggiorno bolognese due furono le località di villeggiatura dove ci recammo: la prima fu Salsomaggiore, ridente ed elegante cittadina termale, circondata da verdi montagne, con graziosi paesetti arrampicati sui loro pendii, e di questi ricordo il particolare Borgo san Donnino, che al mattino appariva, in lontananza, circondato da una leggera nebbia azzurra, quasi fosse sospeso in aria, come un paese di sogno.

Non andammo in albergo, ma in una specie di "residence", dove insieme alle camere avevamo l'uso di una grandissima cucina, comune a tutti i villeggianti, ed i vari profumi si mescolavano piacevolmente, e mi era abbastanza simpatico. Il servizio era compreso, per cui mamma potè riposarsi bene e fare tranquillamente le sue cure, mentre babbo e noi facevamo qualche bella passeggiata nei dintorni, sulle colline e nei boschi.

Di questa cittadina ricordo assai poco; c'erano tanti begli alberi, tanti giardini fioriti, e, soprattutto il maestoso palazzo delle terme, il famoso "Berzieri", chiamato così forse dal nome dell'architetto che lo aveva ideato e realizzato, un vero capolavoro di stile "liberty", pieno di saloni lussuosi, di marmi stupendi, con scaloni monumentali ed affreschi pieni di poesia e di grazia voluttuosa; grandi vetrate a colori mitigavano la luce del sole e davano un aspetto veramente caratteristico e bello a tutto l'insieme.

Ne fui profondamente colpita ed ammirata, e per lunghi anni, immaginando un palazzo di fate o una reggia orientale, pensai istintivamente al grande palazzo delle terme di Salsomaggiore, al famoso "Berzieri".

L'altra località, dove ci recammo l'anno dopo, nel 1925, fu ben diversa e certo più adatta a noi bambine.
Si chiamava Viale Bel Poggio, e si trovava a breve distanza da un grosso paese che era Casalecchio di Reno, assai vicino a Bologna. Si scendeva all'ultima fermata della tranvia, e subito dopo s'imboccava a destra un grande viale alberato che saliva dolcemente la collina, circondato da una bella campagna colma di viti e piantagioni varie.
Ai due lati del viale c'erano tante villette, distanziate fra loro da giardini rigogliosi di alberi e fiori, ed in una di queste ci sistemammo noi, insieme ad altri villeggianti, con i quali ben presto stringemmo amichevoli rapporti. Rimanemmo in quel luogo per un paio di mesi, almeno, sfuggendo al calddo soffocante che regnava a Bologna, e per far rimettere mamma definitivamente dalla pleurite soffetta nell'inverno.

Viale Bel poggio

Quando giungemmo a Viale Bel Poggio tutto ci sembrò bellissimo; non sembrava vero che per qualche tempo avremmo abitato lì, in quella bianca villetta, con un grande giardino davanti e tanto prato intorno e dietro la casa! Finalmente potersi muovere all'aperto sempre, dal mattino alla sera, estasiarsi davanti al volo leggero delle farfalle in giardino, ce ne erano tante, alcune bianche, altre multicolori, bellissime, che sfioravano leggermente le corolle profumate delle rose, cogliere con piacere i bei fiori di campo; i fiordalisi, le campanule bianche ed azzurre che fiorivano nel prato e sui bordi delle varie aiuole, ammirare con grnade curiosità le piccole lucertole dai vispi occhietti che ristavano al sole... tutto questo mi inebriò letteralmente, e da allora, forse, iniziò il mio appassionato senso di ammirazione per la natura, specilmente nei suoi aspetti più semplici e spontanei e che mi accompagnò poi per tutta la vita.

Al mattino non vedevo l'ora di alzarmi per uscire in giardino, il più presto possibile, per respirare a pieni polmoni quell'aria così pura e dolce, vedere risplendere la rugiada sulle foglie e sui fiorellini sbocciati nella notte, sentire il trillare sommesso, sparso per la campagna degli uccelli che salutavano il ritorno della luce del sole!

Non eravamo tanto distanti dalla città; mio padre, prima di prendere le ferie, continuò ad andare tutte le mattine in ufficio, uscendo molto presto e prendendo il famoso tranvetto ai piedi della collina; il paese di Casalecchio era vicinissimo, ma noi non vi andammo mai, paghe della bellezza del luogo; percorrevamo spesso il lungo viale, pochissimo frequentato e che consideravamo quasi come un nostro parco privato, ammirando gli splendidi fiori dei vari giardini e chiaccherando allegramente. Al tramonto poi tutto era un garrire vivace e leggero di rondini che sfrecciavano nell'oro del sole cadente e del quale sento ora tanta nostalgia, mentre le ombre azzurrine degli alberi e delle siepi si allungavano sulla terra e sull'erba dei prati.
Un altro simpatico particolare: verso le dieci del mattino percorreva lentamente il viale un traballante carretto, tirato da un asinello e colmo di verdure freschissime e di frutta varia: lo conduceva un arzillo vecchietto, un contadino evidentemente, che lanciava con notevole energia il suo grido di avvertimento e di richiamo agli abitanti delle ville. Lo risento come se fosse ora: "l'ortolano", ed ancora aggiungeva: " pere pere pere prugne belleeee". Si usciva allora dai cancelli e si circondava il veicolo per i vari acquisti, ma, in verità, noi eravamo attirate più che altro dall'asinello, simpatico, mansueto e pacifico che facevamo a gara di rimpinzare di cardi selvatici che crescevano sui bordi del viale, ed eravamo tutte contente e soddisfatte nel vederlo masticare alacremente agitando le lunghe orecchie grigie.

Fu anche l'occasione per fare qualche conoscenza fra i vari proprietari delle ville; ricordo in particolare, gli abitanti di una graziosa villetta, che dicevano "del maestro", un signore piccolo e serio dai candidi capelli, che vi abitava con le sorelle, due anziane signorine, di una strana quasi grottesca bruttezza, tanto che in principio ne avevamo quasi paura; si mostrarono poi invece così dolci e gentili che ci conquistarono completamente e ricambiammo volentieri la simpatia che avevano per noi. Spesso, nel vederci passare ed in ammirazione dei loro fiori, ci invitavano ad entrare e coglievano dei magnifici esemplari di rose e, specialmente, di dalie dai vivaci colori, e, facendone dei bei mazzi ce li regalavano da portare a casa.

Ancora facemmo amicizia con gli abitanti della villa limitrofa alla nostra, separata dal nostro giardino soltanto da una siepe di bosso; una bimba della nostra età vi abitava e timidamente cominciò a chiamarci e salutarci sulla siepe, finchè prendemmo anche noi coraggio e divenne la nostra amichetta con la quale giuocavamo molto volentieri; fra l'altro avevamo trovato un modo spiccio per vederci senza uscire dal cancello, usufruendo cioè di un passaggio che aprimmo nella siepe e andando e venendo in continuazione dalla sua casa e lei dalla nostra, con il consenso naturalmente dei suoi genitori, zie e zii che abitavano con loro e che ci accolsero sempre con grande cordialità.

Gli amici della villa

Fra le varie persone che abitarono la nostra stessa casa, ne ricordo alcune in modo particolare, per avere esse qualche caratteristica che ci colpiva.
Ricorderò il piccolo Robertino, il bimbo di una giovane donna, la signora Pagnacco, che, giuta improvvisamente, lo conduceva con sè. Seppi poi, da grande, che era separata dal marito, e che era andata a prenderselo a casa sua, il suo figlioletto, all'insaputa di lui, e si era rifugiata là, nella villetta di Viale Bel Poggio.
Compresi allora il significato della strana espressione di dolore e di gioia, che appariva spesso nei grandi occhi azzurri della giovane signora, mentre guardava giuocare Robertino, o ne ascoltava il gaio e innocente cinguettio; poichè era un bimbo veramente delizioso, sui tre anni, biondo e paffutello, con i suoi teneri occhi color fiordaliso, del quale, subito ci innamorammo tutti e facevamo a gara per giocare e farlo divertire.

Non so quale fu il seguito della vicenda della signora Pagnacco, pochè dopo la sua partenza la perdemmo completamente di vista, ma il ricordo di Robertino e dei suoi ingenui occhi azzurri mi è rimasto impresso nella memoria.

Con Anna Vecchi e sua madre invece ci rivedemmo ancora in città, qualche volta; vennero a trovarci e trascorremmo dei bei pomeriggi con loro, soprattutto facendo musica, come già avevamo fatto spesso a Viale Bel Poggio, dove immancabilmente ci aveva seguito il pianoforte. Ella  era una buona pianista, diplomana, naturalmente, ed era felice di poter accompagnare mio padre al pianoforte, nell'esecuzione di vari pezzi di musica che egli suonava molto bene al sua flauto.

Egli possedeva un'agilità non comune, avendo studiato seriamente in gioventù, e godeva moltissimo di riprendere ogni tanto il suo amato flauto, suonando i suoi pezzi prediletti; ricordo ancora, fra gli altri, un certo "Pastore svizzero", che noi tutti prediligevamo, costituito da numerose variazioni su di un semplice tema popolare, alcune delle quali graziosissime, ma anche molto difficili.

Teresa ed io, invece, suonavamo con impegno i nostri piccoli pezzi, specialmente a quattro mani, cosa che piaceva moltissimo a mamma, e non si può immaginare la sua gioia quando fui in grado di accompagnare con il pianoforte quella deliziosa pagina di musica che è"Il Cigno", dal carnevale degli animali di Saint-Saens, e che babbo interpretava egregiamente sul suo flauto.


Non vi era dubbio, ormai, che di noi sorelle, io fossi la più dotata musicalmente. Non ebbi mai difficoltà, infatti, nell'affrontare le varie forme tecniche dello studio del piano, e mi sembrava anzi del tutto naturale il fatto che io suonassi, come se fosse stato per me un linguaggio naturale, un modo come un altro per esprimersi.
Esso mi appagava completamente, sia tecnicamente, sia come espressione di vita; inoltre il suono del pianoforte mi affascinava letteralmente, sentivo alle sue vibrazioni peculiari rispondere profondamente nel mio intero essere altre vibrazioni di intensa gioia ed amore. Da ciò il senso di felicità che provavo nel suonare e che mi ricompensava ampiamente del sacrificio innegabile dello studio, anche se qualche volta noioso e pesante.

In quest'ulmima parte del racconto è la prima volta che Anna descrive il suo intenso amore per la musica e il pianoforte (lo farà poi più ampiamente nei passaggi successivi). Zia Anna era veramente una grande solista, ricordo molti pomeriggi romani mentre ascoltavo, bambino, con ammirazione e commozione le sonate di Chopin che interpretava magistralmente. Ho saputo poi da mia madre che aveva anche una voce bellissima e che, nonstante l'insistenza dei maestri, i nonni non vollero che studiasse da soprano, perchè allora l'ambiente "artistico" era considerato non appropriatoed adatto per  una ragazzina di buona famiglia!

giovedì 3 dicembre 2009

Memorie di vecchi tempi: 15 - Gli zii di Bologna


Vol. I Bari 1920 - Bologna 1924


Avevamo anche degli zii, a Bologna, che avevamo conosciuto in qualche loro visita a Bari, la zia Margherita, sorella di mamma, e lo zio Ottavio, suo marito, con i loro due figliuoli Giovanni e Roul. Poi, per qualche misteriosa ragione, non ne avevo più sentito parlare. Quando giungemmo a Bologna, si fecero vedere in qualche modo. Presumo da questo che ci fosse stata fra di loro e i miei, qualche causa di dissapori, che ignoravo e ignoro tuttora; so però che ad un certo punto l'affetto prevalse, ed in occasione della seria forma di pleurite che aveva colpito mamma, la zia Margherita, che era, fra parentesi, la sorella preferita di mamma e di poco maggiore di lei, venne a trovarla e con ciò la pace fu fatta.


Ci vedemmo abbastanza spesso, da allora, anche perchè in un primo tempo abitarono relativamente vicino alla nostra casa. Infatti andavamo a piedi a trovarli, e ricordo che per arrivare alla loro casa, bisognava attraversare la grandissima piazza Malpighi, che aveva, ai quattro lati del suo largo marciapiedi centrale, quattro specie di sarcofaghi, con delle pietre verdi, mi pare, e seppi dopo, da grande, che effettivamente erano delle antichissime tombe.


Ma quello che piaceva moltissimo a me ed alle mie sorelle, era un baracchino che spesso stazionava nella piazza e che attirava l'attenzione di tutti i bambini del quartiere ed anche quelli che passavano di lì, perchè era un teatrino di burattini.


Era la  prima volta che vedevamo un teatro di burattini, diciamo così, pubblico e la cosa ci divertì moltissimo; facemmo la conoscenza della nota maschera bolognese, Fagiolino o Fasulein, come lo chiamava il popolino, e per quanto spesso la maschera parlasse in dialetto bolognese, la mimica e la vivacità di quel burattino ci piaceva lo stesso; inoltre le parti recitate in italiano erano fequenti e ci permettevano di seguire il filo della rappresentazione.


Naturalmente non ci potevamo trattenere molto, perchè i nostri genitori si stancavano di stare in piedi a lungo, e così, a malincuore, sul più bello, magari, dovevamo proseguire per andare dagli zii; spesso, però, con bonaria condiscendenza  e debitamente accompagnati dall'attendente (anche lo zio Ottavio era ufficiale dell'esercito) i nostri comuni genitori ci permettevano di ritornare in piazza con i cugini, per finire di vedere le varie avventure, quasi sempre comiche e piene di bastonature, del famigerato Fasulein, del dottor Balanson, di Brighella e di tanti personaggi delle commendie, che non ricordo più.


La zia Margherita era una signora alta e bruna, come mamma, alla quale somigliava moltissimo, ma molto più magra; si distingueva da lei per un'espressione del viso molto più severa, quasi, direi, un pò dura; non ricordo mai di averla vista ridere,e ciò mi sorprendeva sempre, perchè mia madre aveva spesso, per le persone care, o anche soltanto amiche, un largo e affettuoso sorriso; le sue sopracciglie ad arco circonflesso molto accentuato, lo sguardo penetrante, i modi piuttosto perentori mi intimidivano moltissimo, tanto da farmi restare sempre muta in sua presenza.


Seppi, però, molto più tardi, che per la zia quello era stato, ed era ancora, un periodo molto scuro e difficile della sua vita; aveva perduto, pochi anni prima la sua adorata primogenita, stroncata in pochi giorni da una meningite fulminante, la piccola Maria Pia, che dicevano tanto graziosa e buona; le rimaneva il piccolo Giovanni e una gravidanza tardiva, presentatasi, avrebbe forse potuto lenire il suo grande dolore. Fu perciò accolta con gioia, ma purtroppo, senza apparente causa, era venuta a mancare, ed il bimbo ad un certo punto era morto nel suo seno senza ch'ella se ne accorgesse; questo le aveva procurato una infezione acuta che la condusse in breve in fin di vita, e fu in questa occasione che le si era scoperto un diabete gravissimo, probabilmente a cagione del quale aveva perso il bambino. Si salvò a stento, ma guarita dall'infezione, rimase terribilmente delibitata e depressa; inoltre fu costretta dal suo male, il diabete, ad osservare una dieta strettissima, non essendo allora ancora nota l'insulina, farmaco di elezione per questa malattia, e quindi stentava molto a riprendersi anche fisicamente.


Si trovava dunque, la zia Margherita, in quell'epoca, ancora sotto gli eventi trascorsi, cosciente altresì, di dover lottare contro il male che l'insidiava senza alcuna difesa tranne la cura dietologica di un buon medico, uno dei migliori di Bologna, il prof. Modenese, allievo del grande clinico Augusto Murri, e nel quale riponeva la massima fiducia; il quale peraltro riducendo drasticamente tutti gli zuccheri e i carbiìoidrati, ridusse la sua resistenza fisica ad un margine esilissimo, e fu causa più importante, certamente della sua precoce fine.


Comunque nell'anno 1925, tranne la sua perdurante tristezza e serietà, la zia stava apparentemente bene; una sua giovane nipote, e nostra cugina, era venuta su da Mesagne per aiutarla a curarsi e darle una mano nel governo della casa e dell'educazione di Bebè, fanciullo simpaticissimo ma con la vivacità e l'impulsività dei suoi sei anni. Ella si chiamava Nina e si fece subito benvolere da tutti, per il suo bel carattere tranquillo e cordiale, il suo fattivo aiuto, il suo aspetto gradevole ed attraente nella sua semplicità: poteva avere sedici o diciassette anni, dei begli occhi neri nel visetto candido, capelli bruni molto ondulati e folti, una voce molto simpatica e molta molta pazienza. Per questo anche noi le volemmo subito bene, ed è certamente fra le persone che ricordo più volentieri e fra le più simpatiche.


Ma allora, naturalmente, noi preferivamo la compagnie dei cugini, Giovanni, un bel ragazzone sui quattordici anni, bruno, vivace, il ritratto dello zio Ottavio, e Roul - Bebè, il piccolo di casa, che adorava il fratello e nello stesso tempo tentava sempre di emularlo ed anche sfidarlo; di acarattere ardito ed appassionato, lo stuzzicava a fare botte con lui, e mentre Giovanni, scherzando, gli dava corda, lui si infiammava tutto cercando la vittoria a tutti i costi!


Noi assistevamo divertite a questi tornei, poi, mentre Giovanni chiaccherava un pò con Teresa di libri e di scuola, noi facevamo con Bebè qualche giuoco più tranquillo, a dama  od altro.


Molto diverso dalla zia Margherita era lo zio Ottavio; allegro per temperamento, scherzoso, amava le battute comiche, ed era cordialissimo con noi bimbe; era, sì, ligio al suo lavoro e sentiva la sua militanza nell'esercito come una vocazione; ciò però non gli impediva di trovare bella la vita, e di vederne i suoi lati migliori. Alto anche lui, con occhi grigio azzurro mobili e vivaci, era buono e sensibile, forse un pò superficiale, ma indubbiamente simpatico. Gli piaceva tento parlare, forse un pò troppo, ma questo andava molto bene per babbo, che invece parlava poco, anche se amava molto la conversazione e la biuona compagnia di amici e parenti.


Ricordo che per Natale facevano un bellissimo Presepio, assai grande, al quale lavoravano un pò tutti, prendeva quasi una stanza, ed era bello vedere con quanta passione vi si dedicavano!


...

Memorie di vecchi tempi -Anteprima

domenica 29 novembre 2009

Memorie di vecchi tempi: 13 - La chiesetta di via dei Grifoni; 14 - I nostri amici Landolfi

Vol. I Bari 1920 - Bologna 1924

La chiesetta di via dei Grifoni


Proprio all'inizio della breve e stretta via dei Grifoni poco dopo il nostro portone di ingresso, si apriva una portoncina piccola e scura che immetteve in una graziosa piccola Cappella, dove la domenica andavamo ad ascoltare la Messa. Era appena più grande di una stanza comune, aveva la volta a cupola dipinta di azzurro e disseminata di stelle di argento, così che il piccolo altare nel fondo sembrava campeggiare dell'infinito. L'effuso misticismo dell'ambiente ben si accordava al dolce lirismo delle nostre anime in preghiera; poche persone ci venivano, qualche vecchietta vestita di nero, altre giovinette silenziose e devote, e noi così, quasi sole davanti a quel piccolo altare illuminato, con il sacerdote che pregava sottovoce, sotto quella volta azzurro-stellata...


Mai dopo ho provato l'impressione così perfetta di spiritualità, di serenità e di pace, come in quella chiesetta, che ci parlava soavemente di un mondo relale, dolce eppure così lontano...


I nostri amici Landolfi


Erano trascorsi già alcuni mesi dal nostro arrivo a Bologna, quando, anche questa volta in modo diverso dal solito, facemmo la conoscenza, trasformatosi poi in solida ed affettuosa amicizia, di una famiglia di origine meridionale, che venne a d occupare un appartamento nel nostro stesso palazzo, appartamento che in un primissimo tempo avevamo noi stessi abitato; lo cambiammo poi con l'attuale casa, prospiciente via dei Grifoni, perchè troppo grande ed anche per il fitto altissimo, per noi troppo caro.


Avvenne che la signora Marani, esattrice del proprietario del palazzo (a proposito, questo proprietario si chiamava conte Sassoli-Tomba, cognome che in un primo tempo spaventò tanto mamma, che, superstiziosa, non ne voleva più sapere di fare questo contratto ed abitare questa casa; poi si piegò davanti alla difficoltà di trovare un altro alloggio, rarissimi in quel periodo a Bologna, ed anche per la comodità di abitare vicinissimi al posto di lavoro di mio padre, ufficiale nella caserma del 35esimo fanteria, che si trovava appunto un pò più in giù, nella nostra stessa strada), la signora Marani, dicevo, una donna molto vivace, intelligente e sbrigativa, come la maggior parte delle bolognesi, in una delle consuete visite per riscuotere l'affitto, disse a mamma che nel palazzo c'era una signora, arrivata da poco tempo anche lei, che piangeva sempre e si disperava per aver dovuto lasciare Napoli, dove prima risiedeva, per l'avvenuta promozione del marito, colonnello del Tribunale militare di Bologna. Disse ancora di aver parlato di noi a questa famiglia, al quale aveva espresso subito il desiderio di conoscerci.


Figuriamoci! A mamma non sembrò vero, e fu subito combinata una visita, per cui in un bel pomeriggio di dicembre, i signori Emanuele e Bianca Landolfi vennero a trovarci, e quella fu la prima di numerosissime visite che ci scambiammo da allora in poi.


Erano, i Landolfi, delle ottime persone, appartementi all'alta borghesia napoletana; lui, il colonnello, ancora abbastanza giovane, sui quaranta, forse, aveva una persona sottile ed aristocratica, i lineamenti fini, e vivaci occhi azzurri, che aveva trasmesso a due dei loro figlioli, a Lucia, sedicennne, ed a Vittorio, di un anno minore, mentre Anna, la terzogenita, aveva i begli occhi scuri della madre, afflitta però da notevole strabismo.










domenica 18 ottobre 2009

Memorie di vecchi tempi: Bologna 10/2

Ecco un passaggio che ritengo tra i più belli e divertenti delle "Memorie", e per questo motivo ho voluto dargli un sottotitolo,"la signora Laureati", che  indubbiamente ne è il personaggio principale. Rileggendolo mi è sembrato vedere un episodio tratto da una sceneggiatura "felliniana", svolgendosi peraltro proprio a Bologna, nella terra di origine del grande Maestro dove, a Rimini, ambientò l'indimenticabile "Amarcord" . Ma potrebbe essere anche tratto da un film di Pupi Avati.

Vol. I Bari 1920 - Bologna 1924

La signora Laureati 

Cominciammo a conoscere alcune famiglie nel palazzo: la signora Benini, del secondo piano, venne a trovare mamma, saputola poco bene; era piuttosto distinta, bolognese puro sangue, il suo argomento preferito di conversazione erano i suoi stessi malanni, cosa che non risollevava certo il morale di mamma; ci vedemmo quindi pochissimo.

Conoscemmo poi la signora Marchesini, nostra dirimpettaia sul pianerottolo: piccola, magra, diffidente, separata dal marito; essa aveva due belle bambine, appena più grandi di noi, con le quali ci vedemmo qualche volta, ed un maschio sui sedici anni, Chicco.

Le ragazzine si chiamavano Albina, la maggiore, bionda, affettuosa, di buon carattere, e Cenci (diminutivo di Vincenza), minore di qualche anno, bruna, riccioluta, con due lunghe trecce, invece piuttosto scostante, introversa e alquanto presuntuosa, forse perchè molto bella. Di Albina, divenuta molto amica di Teresa, sapemmo che era un pò la vittima della madre, che la preferiva alla seconda, probabilmente per affinità di carattere; la giovinetta aveva invece un temperamento da artista, mite e sognatrice, ed artista lo era difatti; vedemmo dei suoi lavori di pittura davvero notevoli; particolarmente incline alla miniatura, ne vedemmo molte, eseguite all'acquarello, veramente deliziose.

Un'altra famiglia, a suo modo abbastanza pittoresca, era quella del marchese Laureati, di Grottammare; anche lui separato di fatto dalla moglie, bellissima e giovane, perchè ostinato nel voler vivere nella sua cittadina di Grottammare, dove pare, chissà, lo trattenevano anche interessi terrieri o altre attività, mentre lei preferiva abitare a Bologna.
Avevano due figlioletti, molto simpatici, con i quali ci vedemmo spessissimo: si chiamavano Mario e Gianni, e il padre veniva ogni tanto a vederli; ricordo di averlo incontrato qualche volta, piuttosto minuto, magro, il viso sempre teso e triste, non poteva certo essere il tipo di uomo che potesse tenere avvinto a sè l'interesse di una donna così piena di vita e di esuberante bellezza come sua moglie, e difatti le scenate di gelosia erano frequentissime fra loro, durante le quali i bambini erano mandati in tutta fretta da noi.

Il modo nel quale venimmo ad essere amici fu, appunto, piuttosto inusuale, e depose per noi subito in loro favore.
Successe che in una delle nostre poche uscite domenicali, nel rientrare a casa ci accorgemmo di aver dimenticato le chiavi della porta dell'appartamento; che fare? Era piuttosto tardi, eravamo stati al cinema, forse, o a trovare degli zii che abitavano molto lontano; bussammo intanto a questa famiglia che conoscevamo appena di vista, e raccontando la nostra disavventura trovammo in loro la massima comprensione e premura. Vollero assolutamente che fossimo loro ospiti, per quella notte, cosa che divertì moltissimo noi bambini, e con tanto garbo davvero, ci approntarono dei letti di fortuna, in salotto e nelle altre varie stanze; avemmo così occasione di apprezzarne la loro spontaneità e la signorilità del loro animo. Il mattino dopo, naturalmente, babbo si affrettò a cercare un fabbro che ci aprisse la porta, e, ringraziando di cuore i nostri ospiti, rientrammo finalmete a casa.

Da allora ottimi rapporti di amicizia si instaurarono fra noi, e, per quanto la signora Laureati fosse assai più giovane di mamma, un grande sentimento di affetto nacque fra loro, fatto di fiducia e di desiderio di comprensione da parte della signora, e di benevolenza e indulgenza da parte di mamma.

Era pur vero che essa era di una bellezza straordinaria, alta, ben fatta, un pò formosa, forse, ma slanciata, il viso dai lineamenti perfetti, una vera statua greca; l'espressione dei suoi occhi neri era vivace e languida nello stesso tempo, la voce calda e sensuale; abbastanza logico, quindi, il sentimento di gelosia da parte del marito, fra l'altro ancora pazzamente innamorato di lei, ben conscia, d'altronde della sua bellezza e piena di passionalità e di vitalità; non si poteva sapere, quindi, onestamente fino a che punto la gelosia del marchese fosse giustificata.

A proposito della gelosia un avvenimento è rimasto particolarmente vivo nella sua memoria, anche perchè da noi bambine assolutamente imprevisto e inusuale.
Eravamo andate da Mario e Gianni, come al solito, per giuocare un pò, quando ad un tratto scoppiò un baccano infernale; esso proveniva dalla stanza da letto della signora Ines. Abbastanza spaventati uscimmo dalla camera dei giuochi e vedemmo il marchese mentre scuoteva furiosamente un bel  giovanotto "amico di famiglia", che avevamo visto altre volte e si chiamava Diego, il quale difendendosi al meglio, cercava di infilare la porta per andarsene. A questo punto la signora, agitatissima e molto elegante nella sua preziosa vestaglia di pizzo, con una bella treccia bruna su di una spalla, lo prevenne, ed aperta la porta bussò disperatamente al nostro uscio di casa, chiamando ad altissima voce: signor capitano, signor capitano! ci aiuti. la prego, venga presto!

Al che la porta si aprì immediatamente e nostro padre, stupefatto, si vide invadere la casa sia dalla signora Ines che dal bellissimo Diego, che protestando energicamente la sua innocenza, mostrava una ciocca dei suoi biondi capelli, evidentemente strappatogli dal marchese, arrivato tempestivamente per una delle sue rare visite ed avendo visto o intuito qualcosa che lo aveva mandato fuori di sè!

Mamma, per prima cosa, ci fece entrare con i nostri amichetti nella nostra camera, per riprendere tramquillamente a giuocare, e dilà sentimmo tutte le concitate e confuse spiegazioni, condotte soprattutto dal signor Diego, che voleva assolutamente denunziare ai carabinieri l'aggressione subita.
Con calma e con molta cortesia babbo gli fece capire come forse sarebbe stato meglio lasciar cadere la cosa, mentre la bella signora Ines si scioglievain lacrime, con una certa maestosa teatralità. Del...

Ahimè qui il racconto si interrompe, forse è andata perduta proprio la pagina finale di questo gustosissimo episodio!

Memorie dei vecchi tempi - anteprima

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