Durante il nostro soggiorno bolognese due furono le località di villeggiatura dove ci recammo: la prima fu Salsomaggiore, ridente ed elegante cittadina termale, circondata da verdi montagne, con graziosi paesetti arrampicati sui loro pendii, e di questi ricordo il particolare Borgo san Donnino, che al mattino appariva, in lontananza, circondato da una leggera nebbia azzurra, quasi fosse sospeso in aria, come un paese di sogno.
Non andammo in albergo, ma in una specie di "residence", dove insieme alle camere avevamo l'uso di una grandissima cucina, comune a tutti i villeggianti, ed i vari profumi si mescolavano piacevolmente, e mi era abbastanza simpatico. Il servizio era compreso, per cui mamma potè riposarsi bene e fare tranquillamente le sue cure, mentre babbo e noi facevamo qualche bella passeggiata nei dintorni, sulle colline e nei boschi.
Di questa cittadina ricordo assai poco; c'erano tanti begli alberi, tanti giardini fioriti, e, soprattutto il maestoso palazzo delle terme, il famoso "Berzieri", chiamato così forse dal nome dell'architetto che lo aveva ideato e realizzato, un vero capolavoro di stile "liberty", pieno di saloni lussuosi, di marmi stupendi, con scaloni monumentali ed affreschi pieni di poesia e di grazia voluttuosa; grandi vetrate a colori mitigavano la luce del sole e davano un aspetto veramente caratteristico e bello a tutto l'insieme.
Ne fui profondamente colpita ed ammirata, e per lunghi anni, immaginando un palazzo di fate o una reggia orientale, pensai istintivamente al grande palazzo delle terme di Salsomaggiore, al famoso "Berzieri".
L'altra località, dove ci recammo l'anno dopo, nel 1925, fu ben diversa e certo più adatta a noi bambine.
Si chiamava Viale Bel Poggio, e si trovava a breve distanza da un grosso paese che era Casalecchio di Reno, assai vicino a Bologna. Si scendeva all'ultima fermata della tranvia, e subito dopo s'imboccava a destra un grande viale alberato che saliva dolcemente la collina, circondato da una bella campagna colma di viti e piantagioni varie.
Ai due lati del viale c'erano tante villette, distanziate fra loro da giardini rigogliosi di alberi e fiori, ed in una di queste ci sistemammo noi, insieme ad altri villeggianti, con i quali ben presto stringemmo amichevoli rapporti. Rimanemmo in quel luogo per un paio di mesi, almeno, sfuggendo al calddo soffocante che regnava a Bologna, e per far rimettere mamma definitivamente dalla pleurite soffetta nell'inverno.
Viale Bel poggio
Quando giungemmo a Viale Bel Poggio tutto ci sembrò bellissimo; non sembrava vero che per qualche tempo avremmo abitato lì, in quella bianca villetta, con un grande giardino davanti e tanto prato intorno e dietro la casa! Finalmente potersi muovere all'aperto sempre, dal mattino alla sera, estasiarsi davanti al volo leggero delle farfalle in giardino, ce ne erano tante, alcune bianche, altre multicolori, bellissime, che sfioravano leggermente le corolle profumate delle rose, cogliere con piacere i bei fiori di campo; i fiordalisi, le campanule bianche ed azzurre che fiorivano nel prato e sui bordi delle varie aiuole, ammirare con grnade curiosità le piccole lucertole dai vispi occhietti che ristavano al sole... tutto questo mi inebriò letteralmente, e da allora, forse, iniziò il mio appassionato senso di ammirazione per la natura, specilmente nei suoi aspetti più semplici e spontanei e che mi accompagnò poi per tutta la vita.
Al mattino non vedevo l'ora di alzarmi per uscire in giardino, il più presto possibile, per respirare a pieni polmoni quell'aria così pura e dolce, vedere risplendere la rugiada sulle foglie e sui fiorellini sbocciati nella notte, sentire il trillare sommesso, sparso per la campagna degli uccelli che salutavano il ritorno della luce del sole!
Non eravamo tanto distanti dalla città; mio padre, prima di prendere le ferie, continuò ad andare tutte le mattine in ufficio, uscendo molto presto e prendendo il famoso tranvetto ai piedi della collina; il paese di Casalecchio era vicinissimo, ma noi non vi andammo mai, paghe della bellezza del luogo; percorrevamo spesso il lungo viale, pochissimo frequentato e che consideravamo quasi come un nostro parco privato, ammirando gli splendidi fiori dei vari giardini e chiaccherando allegramente. Al tramonto poi tutto era un garrire vivace e leggero di rondini che sfrecciavano nell'oro del sole cadente e del quale sento ora tanta nostalgia, mentre le ombre azzurrine degli alberi e delle siepi si allungavano sulla terra e sull'erba dei prati.
Un altro simpatico particolare: verso le dieci del mattino percorreva lentamente il viale un traballante carretto, tirato da un asinello e colmo di verdure freschissime e di frutta varia: lo conduceva un arzillo vecchietto, un contadino evidentemente, che lanciava con notevole energia il suo grido di avvertimento e di richiamo agli abitanti delle ville. Lo risento come se fosse ora: "l'ortolano", ed ancora aggiungeva: " pere pere pere prugne belleeee". Si usciva allora dai cancelli e si circondava il veicolo per i vari acquisti, ma, in verità, noi eravamo attirate più che altro dall'asinello, simpatico, mansueto e pacifico che facevamo a gara di rimpinzare di cardi selvatici che crescevano sui bordi del viale, ed eravamo tutte contente e soddisfatte nel vederlo masticare alacremente agitando le lunghe orecchie grigie.
Fu anche l'occasione per fare qualche conoscenza fra i vari proprietari delle ville; ricordo in particolare, gli abitanti di una graziosa villetta, che dicevano "del maestro", un signore piccolo e serio dai candidi capelli, che vi abitava con le sorelle, due anziane signorine, di una strana quasi grottesca bruttezza, tanto che in principio ne avevamo quasi paura; si mostrarono poi invece così dolci e gentili che ci conquistarono completamente e ricambiammo volentieri la simpatia che avevano per noi. Spesso, nel vederci passare ed in ammirazione dei loro fiori, ci invitavano ad entrare e coglievano dei magnifici esemplari di rose e, specialmente, di dalie dai vivaci colori, e, facendone dei bei mazzi ce li regalavano da portare a casa.
Ancora facemmo amicizia con gli abitanti della villa limitrofa alla nostra, separata dal nostro giardino soltanto da una siepe di bosso; una bimba della nostra età vi abitava e timidamente cominciò a chiamarci e salutarci sulla siepe, finchè prendemmo anche noi coraggio e divenne la nostra amichetta con la quale giuocavamo molto volentieri; fra l'altro avevamo trovato un modo spiccio per vederci senza uscire dal cancello, usufruendo cioè di un passaggio che aprimmo nella siepe e andando e venendo in continuazione dalla sua casa e lei dalla nostra, con il consenso naturalmente dei suoi genitori, zie e zii che abitavano con loro e che ci accolsero sempre con grande cordialità.
Gli amici della villa
Fra le varie persone che abitarono la nostra stessa casa, ne ricordo alcune in modo particolare, per avere esse qualche caratteristica che ci colpiva.
Ricorderò il piccolo Robertino, il bimbo di una giovane donna, la signora Pagnacco, che, giuta improvvisamente, lo conduceva con sè. Seppi poi, da grande, che era separata dal marito, e che era andata a prenderselo a casa sua, il suo figlioletto, all'insaputa di lui, e si era rifugiata là, nella villetta di Viale Bel Poggio.
Compresi allora il significato della strana espressione di dolore e di gioia, che appariva spesso nei grandi occhi azzurri della giovane signora, mentre guardava giuocare Robertino, o ne ascoltava il gaio e innocente cinguettio; poichè era un bimbo veramente delizioso, sui tre anni, biondo e paffutello, con i suoi teneri occhi color fiordaliso, del quale, subito ci innamorammo tutti e facevamo a gara per giocare e farlo divertire.
Non so quale fu il seguito della vicenda della signora Pagnacco, pochè dopo la sua partenza la perdemmo completamente di vista, ma il ricordo di Robertino e dei suoi ingenui occhi azzurri mi è rimasto impresso nella memoria.
Con Anna Vecchi e sua madre invece ci rivedemmo ancora in città, qualche volta; vennero a trovarci e trascorremmo dei bei pomeriggi con loro, soprattutto facendo musica, come già avevamo fatto spesso a Viale Bel Poggio, dove immancabilmente ci aveva seguito il pianoforte. Ella era una buona pianista, diplomana, naturalmente, ed era felice di poter accompagnare mio padre al pianoforte, nell'esecuzione di vari pezzi di musica che egli suonava molto bene al sua flauto.
Egli possedeva un'agilità non comune, avendo studiato seriamente in gioventù, e godeva moltissimo di riprendere ogni tanto il suo amato flauto, suonando i suoi pezzi prediletti; ricordo ancora, fra gli altri, un certo "Pastore svizzero", che noi tutti prediligevamo, costituito da numerose variazioni su di un semplice tema popolare, alcune delle quali graziosissime, ma anche molto difficili.
Teresa ed io, invece, suonavamo con impegno i nostri piccoli pezzi, specialmente a quattro mani, cosa che piaceva moltissimo a mamma, e non si può immaginare la sua gioia quando fui in grado di accompagnare con il pianoforte quella deliziosa pagina di musica che è"Il Cigno", dal carnevale degli animali di Saint-Saens, e che babbo interpretava egregiamente sul suo flauto.
Non vi era dubbio, ormai, che di noi sorelle, io fossi la più dotata musicalmente. Non ebbi mai difficoltà, infatti, nell'affrontare le varie forme tecniche dello studio del piano, e mi sembrava anzi del tutto naturale il fatto che io suonassi, come se fosse stato per me un linguaggio naturale, un modo come un altro per esprimersi.
Esso mi appagava completamente, sia tecnicamente, sia come espressione di vita; inoltre il suono del pianoforte mi affascinava letteralmente, sentivo alle sue vibrazioni peculiari rispondere profondamente nel mio intero essere altre vibrazioni di intensa gioia ed amore. Da ciò il senso di felicità che provavo nel suonare e che mi ricompensava ampiamente del sacrificio innegabile dello studio, anche se qualche volta noioso e pesante.
In quest'ulmima parte del racconto è la prima volta che Anna descrive il suo intenso amore per la musica e il pianoforte (lo farà poi più ampiamente nei passaggi successivi). Zia Anna era veramente una grande solista, ricordo molti pomeriggi romani mentre ascoltavo, bambino, con ammirazione e commozione le sonate di Chopin che interpretava magistralmente. Ho saputo poi da mia madre che aveva anche una voce bellissima e che, nonstante l'insistenza dei maestri, i nonni non vollero che studiasse da soprano, perchè allora l'ambiente "artistico" era considerato non appropriatoed adatto per una ragazzina di buona famiglia!
E' sempre fonte di energia passare e leggere queste pagine di antica memoria.
RispondiEliminaPotessimo conservarcela tutta!
ciao e buona giornata Mario
Carla
Grazie Carla, è vero quello che dici! ho completato il testo introducendo "il cigno" di Sain Sans. Effettivamente l'accompagnamento al pianoforte non mi sembra di facile esecuzione
RispondiEliminaAdoro i racconti del passato, è bellissimo immergersi in atmosfere ormai svanite, soprattutto in periodo come quelli dei primi decenni del Novcento, così vicini eppure così lontani da noi...
RispondiEliminaGrazie Geillis, sono felice che questo racconto trovi corrispondenze. Lo sto trascrivendo quasi integralmente, i personaggi descritti sono moltissimi, anche in questo passaggio ho dovuto sorvolare su alcune minuziose descrizioni di persone. Cosa che non finisce di stupirmi, se penso che nel 1925 mia madre doveva avere circa 13 anni e zia Anna forse 11. Ma credo dipenda anche da una intensa socialità vissuta in famiglia, cosa tipica del centro sud. Se cerco di ricordare la mia vita a quell'età, non ritrovo una socialità così intensa.
RispondiEliminaQuesti scritti fanno lavorare la fantasia ed aiutano ad immergerci in quei tempi!E' proprio una bella documentazione Ciao Pio
RispondiEliminaVedo che con l'anno nuovo hai rinnovato il blog bello!
Ciao Pio, eh già un pò di rinnovamento ci voleva
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