Volume secondo
Napoli 1926 - 1930
Prima di iniziare il capitolo sulla nostra vita a Napoli, voglio completare il ritratto dei miei cari, così come erano in quell'epoca , cioè nel 1926. Delle mie sorelle ho già parlato a lungo, prima, ancora ne parlerò in seguito, ma per quello che riguarda mia madre e mio padre ne ho soltanto accennato occasionalmente nelle mie note trascorse.
E questo per una mia certa naturale ritrosia, come se descriverli comportasse, da parte mia, una certa mancanza di rispetto per la loro condizione di genitori.
Ma superato questo sentimento, per la grande tenerezza che ho sempre provato per essi, allora ed ancora oggi, credo di poterlo fare, e con tutta sincerità ed amore.
Mia madre aveva una bella figura, alta e forte, ed era grande in tutto: dalla bella voce sonora e potente alle bellissime mani, degne di essere ritratte da qualche celebre pittore: dalle nivee braccia, che nelle serate di gala all'opera, come era in uso in quegli anni anche per le signore "per bene", erano completamente scoperte, alle belle spalle che uscivano dal velluto e dai merletti dell'abito da sera, e che strappavano a noi gridolini di gioia e di piacevole sorpresa, abituate come eravamo a vederle sempre accuratamente coperte, anche d'estate.
Aveva tanti bei capelli castano scuro, lunghissimi, lucenti e così folti che quando si pettinava,Marcella ed io, ci divertivamo a nasconderci dietro di essi. I suoi linemaneti non erano belli nel senso classico della parola, ma espressivi ed interessanti; gli occhi erano nerissimi, vivi e brillanti ed assumevano, nei dolci momenti di tenerezza, uno sguardo affettuosissimo; il naso, un pò grande, era stretto alla base e del tutto banale, ma la bocca piena, grande ed affettuosa, sapeva sorridere in modo affascinante.
Il suo carattere era forte, anch'esso, ed energico, con inusitate tenerezze che commuovevano e conquistavano tutti; anche se severa e rigorosa nell'esigere che ognuno adempisse al proprio dovere, sapeva colmare questa severità imperiosa con una comprensione amorosa, quando necessario, con l'interessamento affettuoso e continuo che aveva per noi tutti, con la sua integrità morale che risplendeva nelle sue parole, nel suo modo di vivere, nel suo comportamento quotidiano.
Per questo era amata da tutti; i suoi parenti, le sue amiche, ognuno che ne avesse bisogno, ricorreva a lei, per consigli, per aiuto morale, per goderne l'amicizia e l'affetto, che largamente e generosamente dispensava; fedele fino in fondo a sè stessa ed a coloro che amava, incapace di rancori meschini o di invidie.
Mio padre e noi ne subivamo il fascino in pieno e ci riusciva molto difficile resistere alla sua volontà, sempre guidata, d'altronde, da altruismo e da amore; nello stesso tempo sentivamo di costituire per lei tutto il suo mondo, il suo universo, e capivamo che avrebbe ustata tutta la sua viva intelligenza e tutta la sua forza d'animo per difenderci da qualsiasi pericolo o dolore.
Le sue parole erano sempre sagge ed improntate a vivo senso di giustizia; perfino con gli animali era grande e benevola: "Noi siamo il dio degli animali", soleva ripetere spesso, e personalemtne si interessava che le sue bestiole, fossero gatti o galline, avessere il loro cibo e fossero curate e rispettate.
La stessa benevolenza dimostrava per l'attendente e per la domestica, beninteso quando facevano il loro dovere con attenzione e sollecitudine; altrimenti il suo sdegno prorompeva ed allora... guai al malcapitato!
E nonostante che il governo della casa e della famiglia prendesse buona parte del suo tempo, mia madre si interessava volentieri di tutto: leggeva regolarmente i giornali, per esempio, per cui seguiva con attenzione i movimenti politici del tempo, ed era edotta dei vari avvenimenti e personaggi dell'epoca, dei quali parlava spesso con mio padre, per avere da lui maggiori spiegazioni e pareri; ella amava la lettura, in genere, e leggeva spesso romanzi del tempo, che erano quelli delle signore romantiche dell'ottocento, e cioè Carolina Invernizio, della Serao, sua scrittrice preferita, oppure Ferdinando Verdinois, scrittori discutibili quanto si vuole ma che rappresentavano il meglio della letteratura amena dell'epoca, senza parlare dei "Romanzi Quattrini", che si compravano a dispense dal giornalaio e che mamma conservò gelosamente per molti anni, in ricordo forse della sua giovinezza. Scriveva poi moltissimo alle sue amiche lontane, di Lecce, di Brindisi e di Mesagne, con vero talento, si vede, poichè la sua corrispondenza era molto apprezzata dalla medesime. Mi capitò a volte di leggere qualche cartolina postale oppure illustrata, di auguri o di saluti, e mi colpiva sempre la grazia e lo spirito di amicizia che le animavano!
Poi c'era la musica, che l'entusiasmava sempre, dall'opera lirica ai semplici pezzi per piano suonati da noi, dal "Pastore svizzero" al "Canto del cigno", di Saint.Saens, suonato con maestria da babbo sul suo flauto e via, via, alle romanze da salotto cantate dalle sue amiche ( ricordo un "Libro santo" ed un " Se tu m'amassi", fra le più conosciute del tempo) ai brani sinfonici trasmessi dalla radio, quando, nel 1927 incominciò a diffondersi questo nuovissimo, strabiliante mezzo musicale!
Se si pensa che dalla sua famiglia, anche se fra le prime di Mesagne, aveva ricevuto una istruzione piuttosto limitata, poichè nessuna delle figliole femmine, ed erano ben sette, era andata alla scuola comunale, tranne che nei primissimi anni; invece un giovane maestro, il cosiddetto precettore, andava in casa tutti i giorni per istruirle in altre varie nozioni e perfezionarle nella scrittura e nel far bene di conto, e perfino in qualche lezione di pianoforte, delle quali però mamma non approfittò affatto!
I ragazzi invece, Federico e Felice, erano interni in uno dei primi collegi di Lecce; a questo punto bisogna riconoscere che l'intelligenza, l'acume e la buona volontà di mia madre furono veramente amirevoli; delle sue sorelle soltanto una era simile a lei, la zia Matilde, anch'essa appassionata di letteratura e di musica, tanto da mettere anche lei in collegio, uno dei migliori di Napoli, la sua unica figliola, mia cugina Mercedes, dove, oltre a ricevere una notevole cultura (leggeva e parlava correntemente il francese) potè perfezionarsi così bene nello studio del pianoforte da diplomarsi molto brillantemente con il professore e pianista celebre Florestano Rossomandi, che riuscì a farle dare una impronta raffinatissima alle sue esecuzioni: in Debussy, in particolare, era veramente incantevole e tutti noi ne eravamo affascinati.
Le altre sorelle, Nina, la più grande di loro, Claudia, Margherita (Anna e Amalia non superarono la fanciullezza, con grande dolore del nonno) conservarono la media istruzione che avevano ricevuto, perfezionandosi di più nel ricamo, sempre difficili e raffinati, nei lavori complicatissimi all'uncinetto ed in tutte le mansioni di donne e future padrone di casa, allora considerate importantissime.
I due fratelli, invece, si laurearono ambedue in giurisprudenza; di carattere completamente diverso, ma intelligentissimi entrambi, vissero una vita diametralmente opposta: federico a Mesagne, tranquillo, filosofo, amante della campagna e del quieto vivere, amministrò le sue proprietà con molta comodità e con una nonchalance del gran signore terriero; liberale, dalla parola facile ed arguta, si circondò di amici fedeli e, a tempo perso, esercitò anche la professione di avvocato.
Felice, al contrario, di temperamento vivacissimo, irrequieto, volitivo, appena laureato si iscrisse al partito politico che, secondo lui, avrebbe sollevato l'Italia dall'inerzia e dal disordine, e, con la sua pronta intelligenza, fece una rapidissima carriera politica, sempre apprezzato per la sua probità e il suo entusiasmo. Non tralasciò per questo di amministrare brillantemente le sue tenute agricole, ereditate dal padre come agli altri figli, e dedicò coscienziosamente, appena gli era possibile, il suo tempo libero alla sua famiglia che, nel frattempo, si era creata.
Questa era dunque la famiglia di origine di mamma, alla quale fu sempre attaccatissima, ed a sua volta da essa molto amata e rispettata, per il suo animo generoso, il suo buon senso, la sua viva intelligenza, per cui spesso si rivolgevano a lei per dirimere problemi o varie difficoltà da risolvere; dovendo compendiare il una parola la mia impressione su mia madre, credo che adopererei la parola latina "domina", perchè erra era veramente la "domina" della famiglia tutta e della casa, esempio vivente di affettuosità, di senso del dovere, di fedeltà, di amore.
A questo punto di queste mie note su mia madre mi accorgo di aver mancato di ricordare tanti e tanti particolari caratteristici di lei, particolari che ricordo con grande tenerezza, e che dovrebbero occupare essi stessi una parte ben maggiore delle mie memorie, e che aggiungerebbero umanità e verità a questo ritratto.
Per esempio: il suo modo di esprimersi; in famiglia lo faceva quasi sempre nel suo beneamato dialetto mesagnese; in società, o, comunque con estranei, invece, nel più perfetto italiano, con una verve ed un così arguto argomentare che affascinava e divertiva nello stesso tempo.
La sua voce ampia, e piena delle più varie inflessioni risuonava simpaticamente nei salotti delle sue amiche, attirando sempre simpatia ed attenzione; e questo era certo fra le più valide ragioni per cui la presenza era tanto desiderata, e dovunque era accolta con grande piacere e soddisfazione.
Anche noi, a casa, godevamo tantissimo di questo suo, diciamo così, talento oratorio; la conversazione fra noi non languiva mai, e la sera, specialmente dopo cena, usavamo raccoglierci intorno a lei, pregendola di raccontarci qualche episodio della sua vita giovanile, anche riguardo alla sua numerosissima famiglia, dove sempre vari avvenimenti si susseguivano giornalmente, lieti o tristi, ma sempre vivaci; passavano davanti ai nostri occhi squarci di quella antica vita sociale e familiare dell'ottocento (mia madre era nata nel 1879) con le sue rigide regole, la severità paterna inflessibile, che i numerosi figlioli e nipoti cercavano in tutti i modi di aggirare, dando luogo a vari piccanti ed esilaranti fatterelli: Poi gli episodi comici della vita paesana, dei quali si facevano eco le varie persone che frequentavano la casa, le vecchie amiche della nonna, oppure i "famigli", così detti, servitù, rispettosissimi contadini, la vecchia Rosina, che mamma ricordava da sempre, alla quale era ancora affezionatissima, il cocchiere Angelo, fedele ad oltranza sia al nonno che a tutta la famiglia, l'anziana signora Scalcione, puntualissima, ogni pomeriggio nella sua visita alla cara "Donna Minerva", che era la nonna, e tanti, tanti altri personaggi familiari.
Restano nella mia memoria e ritornano spesso, con lietezza soffusa di nostalgia, i vocaboli più usati da lei nel suo linguaggio giornaliero, così espressivo ed originale: "vabbandi" (va via), "la jatta" (la gatta), "li jaddine" (le galline),"l'attani" (il padre), ecc...
oppure vecchi proverbi paesani: "Si gennaro no scennaresce, febbraro male pensa", o "li guai della pignata le sepe la cucchiara", ecc...
Se si pensa che dalla sua famiglia, anche se fra le prime di Mesagne, aveva ricevuto una istruzione piuttosto limitata, poichè nessuna delle figliole femmine, ed erano ben sette, era andata alla scuola comunale, tranne che nei primissimi anni; invece un giovane maestro, il cosiddetto precettore, andava in casa tutti i giorni per istruirle in altre varie nozioni e perfezionarle nella scrittura e nel far bene di conto, e perfino in qualche lezione di pianoforte, delle quali però mamma non approfittò affatto!
I ragazzi invece, Federico e Felice, erano interni in uno dei primi collegi di Lecce; a questo punto bisogna riconoscere che l'intelligenza, l'acume e la buona volontà di mia madre furono veramente amirevoli; delle sue sorelle soltanto una era simile a lei, la zia Matilde, anch'essa appassionata di letteratura e di musica, tanto da mettere anche lei in collegio, uno dei migliori di Napoli, la sua unica figliola, mia cugina Mercedes, dove, oltre a ricevere una notevole cultura (leggeva e parlava correntemente il francese) potè perfezionarsi così bene nello studio del pianoforte da diplomarsi molto brillantemente con il professore e pianista celebre Florestano Rossomandi, che riuscì a farle dare una impronta raffinatissima alle sue esecuzioni: in Debussy, in particolare, era veramente incantevole e tutti noi ne eravamo affascinati.
Le altre sorelle, Nina, la più grande di loro, Claudia, Margherita (Anna e Amalia non superarono la fanciullezza, con grande dolore del nonno) conservarono la media istruzione che avevano ricevuto, perfezionandosi di più nel ricamo, sempre difficili e raffinati, nei lavori complicatissimi all'uncinetto ed in tutte le mansioni di donne e future padrone di casa, allora considerate importantissime.
I due fratelli, invece, si laurearono ambedue in giurisprudenza; di carattere completamente diverso, ma intelligentissimi entrambi, vissero una vita diametralmente opposta: federico a Mesagne, tranquillo, filosofo, amante della campagna e del quieto vivere, amministrò le sue proprietà con molta comodità e con una nonchalance del gran signore terriero; liberale, dalla parola facile ed arguta, si circondò di amici fedeli e, a tempo perso, esercitò anche la professione di avvocato.
Felice, al contrario, di temperamento vivacissimo, irrequieto, volitivo, appena laureato si iscrisse al partito politico che, secondo lui, avrebbe sollevato l'Italia dall'inerzia e dal disordine, e, con la sua pronta intelligenza, fece una rapidissima carriera politica, sempre apprezzato per la sua probità e il suo entusiasmo. Non tralasciò per questo di amministrare brillantemente le sue tenute agricole, ereditate dal padre come agli altri figli, e dedicò coscienziosamente, appena gli era possibile, il suo tempo libero alla sua famiglia che, nel frattempo, si era creata.
Questa era dunque la famiglia di origine di mamma, alla quale fu sempre attaccatissima, ed a sua volta da essa molto amata e rispettata, per il suo animo generoso, il suo buon senso, la sua viva intelligenza, per cui spesso si rivolgevano a lei per dirimere problemi o varie difficoltà da risolvere; dovendo compendiare il una parola la mia impressione su mia madre, credo che adopererei la parola latina "domina", perchè erra era veramente la "domina" della famiglia tutta e della casa, esempio vivente di affettuosità, di senso del dovere, di fedeltà, di amore.
A questo punto di queste mie note su mia madre mi accorgo di aver mancato di ricordare tanti e tanti particolari caratteristici di lei, particolari che ricordo con grande tenerezza, e che dovrebbero occupare essi stessi una parte ben maggiore delle mie memorie, e che aggiungerebbero umanità e verità a questo ritratto.
Per esempio: il suo modo di esprimersi; in famiglia lo faceva quasi sempre nel suo beneamato dialetto mesagnese; in società, o, comunque con estranei, invece, nel più perfetto italiano, con una verve ed un così arguto argomentare che affascinava e divertiva nello stesso tempo.
La sua voce ampia, e piena delle più varie inflessioni risuonava simpaticamente nei salotti delle sue amiche, attirando sempre simpatia ed attenzione; e questo era certo fra le più valide ragioni per cui la presenza era tanto desiderata, e dovunque era accolta con grande piacere e soddisfazione.
Anche noi, a casa, godevamo tantissimo di questo suo, diciamo così, talento oratorio; la conversazione fra noi non languiva mai, e la sera, specialmente dopo cena, usavamo raccoglierci intorno a lei, pregendola di raccontarci qualche episodio della sua vita giovanile, anche riguardo alla sua numerosissima famiglia, dove sempre vari avvenimenti si susseguivano giornalmente, lieti o tristi, ma sempre vivaci; passavano davanti ai nostri occhi squarci di quella antica vita sociale e familiare dell'ottocento (mia madre era nata nel 1879) con le sue rigide regole, la severità paterna inflessibile, che i numerosi figlioli e nipoti cercavano in tutti i modi di aggirare, dando luogo a vari piccanti ed esilaranti fatterelli: Poi gli episodi comici della vita paesana, dei quali si facevano eco le varie persone che frequentavano la casa, le vecchie amiche della nonna, oppure i "famigli", così detti, servitù, rispettosissimi contadini, la vecchia Rosina, che mamma ricordava da sempre, alla quale era ancora affezionatissima, il cocchiere Angelo, fedele ad oltranza sia al nonno che a tutta la famiglia, l'anziana signora Scalcione, puntualissima, ogni pomeriggio nella sua visita alla cara "Donna Minerva", che era la nonna, e tanti, tanti altri personaggi familiari.
Restano nella mia memoria e ritornano spesso, con lietezza soffusa di nostalgia, i vocaboli più usati da lei nel suo linguaggio giornaliero, così espressivo ed originale: "vabbandi" (va via), "la jatta" (la gatta), "li jaddine" (le galline),"l'attani" (il padre), ecc...
oppure vecchi proverbi paesani: "Si gennaro no scennaresce, febbraro male pensa", o "li guai della pignata le sepe la cucchiara", ecc...
Molto bello !Ciao Pio
RispondiEliminabellissimo questo ricordo e stupendi i tuoi acquerelli
RispondiEliminaMi piacciono anche le tecniche a confronto. L'acquerello vince senz'altro per leggerezza, trasparenza...
ciao!
gisella
Grazie Gisella, anche a me piace più la trasparenza e la leggerezza dell'acquarello, anche se ogni tanto mi piace sperimentare la tempera, forse perchè mi ricorda l'infanzia...
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