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acquerello 45 x 35 cm |
Questo acquerello è stato ispirato da un breve, bellissimo e poetico racconto di Rinaldo Ceruti, un amico che ha vissuto la sua giovinezza proprio nel quartiere del Naviglio Grande di Milano. Con grande efficacia Rinaldo ha descritto le emozioni e le sensazioni visive ed olfattive che provava nel percorso da casa a scuola una volta all'anno, quando il Naviglio veniva prosciugato per eseguire lavori di pulizia e manutenzione. Impressioni ed emozioni si intrecciano in un intenso ricordo dell'adolescenza.
L'odore del naviglio in secca
di Rinaldo Ceruti
Il vento di marzo, secco come una vecchia strega, in una sola notte aveva spazzato la città. La mattina una luce di cristallo scolpiva le case con le sue lame taglienti. Luci ed ombre si erano divisi lo spazio secondo confini ben definiti, attraversando, sezionando, scomponendo ogni cosa con il rigore di una legge geometrica appena inventata.
In quella notte anche l'acqua del naviglio era fuggita via, spinta lontano dagli impeti di un vento che dalle Grigne rotolava giù per la pianura fino ad accasciarsi, sfinito, sulle prime onde dell'Appennino.
A Milano la primavera si annunciava in questo modo, anche scoprendo le viscere del naviglio in secca.
Era il momento in cui i vecchi argini di mattoni svelavano il mistero della loro intimità, due metri più giù di quella linea d'acqua che custodiva un intestino segreto, eternamente in movimento. Non più il sinuoso agitarsi delle alghe che si piegavano alla lentezza di una corrente verde scuro, non più il tremulo vibrare di una città capovolta; il naviglio era una cicatrice profonda, un solco infinito, la trincea di una guerra perduta.
Sul suo fondo, dove luce ed ombra si scambiavano poligoni perfetti, giacevano i resti di una digestione lenta e silenziosa, vestigia delle mille vite di Milano, fagocitate con la pazienza e la rassegnazione di un’acqua senza fretta. Scampoli di esistenze umane in continuo divenire, di cessi rifatti, di biciclette rubate, di televisori sfiniti da troppi telegiornali, di una vecchia rete matrimoniale ripudiata dagli amanti che su di lei hanno danzato fino all'ultima stilla di sudore.
In quel mattino anch'io, confuso adolescente con la chimica nei sogni, percorrevo il marciapiede che costeggiava l'argine, in cammino verso la scuola. Le alghe, orfane della vena liquida che le nutriva, giacevano inerti. Il loro colore verde, divorato dall'aria che tutto consuma, stava virando verso tonalità brunastre, ambasciatrici di una fine che è solo il transito verso una nuova esistenza.
Dalle alghe e dal letto fangoso del naviglio, nel gioco volubile dei riflessi sulle pozze del fondo, saliva forte l'odore acido della loro decomposizione; una mescolanza di salmastro marino, di fresco d'uovo, di corridoi d'ospedale. Odore che mi attraversava le narici con il suo messaggio alchemico. Nel mio immaginario, valenze e formule esoteriche, scienza ed alchimia, Lavoisier e Cagliostro si confondevano nelle vibrazioni intense di quei fumi.
Essi mi parlavano di distillazione, di alambicchi, di fosfati e di iodio, di una trasformazione magica, di una sostanza pura, cristallina, depositata sul fondo di una provetta. Portavo i miei sogni nella cartella, passo dopo passo lungo la strada che mi conduceva a scuola. Dentro i miei occhi, la poltiglia di alghe ormai decomposte, diventava un’inesauribile miniera, uno sconfinato laboratorio.
Quell'odore che respingeva tutti mi accompagnò per alcuni giorni con suo carico di promesse, fino a che l'acqua, con la dolcezza di una sposa, non coprì nuovamente le nudità del naviglio seppellendo i suoi vecchi segreti tra le alghe nuovamente risorte. Altri mesi di marzo, altre secche del naviglio accompagnarono il mio passo, ma della chimica e della mia adolescenza non restò altro che il ricordo di quell'odore forte.
C'è un piccolo paesetto a sud di Parigi, alle soglie della foresta di Fontainebleau. E' forse rimasto come era ai tempi di Corot, molto suggestivo. In un attimo si attraversa la via pricipale, qualche brasserie, qualche galleria d'arte, le belle case allineate di allora, lo studio museo di Millet. Tutto ancora emana un senso di pace e la memoria di quei pittori che, con i primi colori in tubetto, si addentravano nella Foresta, con i loro cavalletti e le loro tele. Era la Scuola di Barbizon, la madre dell'impressionismo francese. In maggio, con pochi turisti presenti, era una meraviglia. E così mi sono addentrato nella foresta, non armato di cavalletto, ma di una semplice macchina fotografica.
Ecco uno spunto di quella veloce passeggiata.
Fontainebleau
acquerello
50 x 35,5 cm
carta Arches 300 gr fine